Andalusia on the road

Categoria: Viaggi on The Road - 01 Ott 2022

Francesca mi chiama in un giorno indaffarato. Le rispondo distratta promettendo a me stessa di dedicarle, appena a casa, un po’ di tempo.

“Partiamo insieme, partiamo con la New Travel Art” mi dice e, senza pensarci troppo, metto in
moto, figurandomi in testa già che tempo potrà mai fare in Spagna. Caldo, è la risposta. Ma di
quelli avvolgenti e tranquilli, che ogni tanto per tenerti stretta e farti innamorare, ti soffiano sotto la
camicia di cotone umida un po’ di scirocco.

E’ la mia terza volta in Spagna, la prima in Andalusia, regione meridionale dello Stato iberico
confinante con il Portogallo e il Mediterraneo, grande fetta d’Europa affacciata sulle coste
africane, è suo il primo grande sorso di Atlantico. Ultimo baluardo del califfato a essere
riconquistato dai Cristiani in un anno decisamente di poco valore storico, il 1492.


La “al-Andalus”, terra di Vandali, ci ha tenuti abbracciati con la sua Sierra Nevada in due delle più
grandi e importanti città della regione, Málaga e Granada per qualche giorno, entrando
arrogantemente nel cuore mio e di qualche sconosciuto diventato con poca difficoltà amico.


Giorno 1
Insomma, in fretta e furia ho messo in valigia le cose più leggere che avevo ancora nei cassetti, ho
preso al volo la Canon e impostato la sveglia a un’ora improponibile, di quelle in cui in genere
torni a casa, se la serata è delle migliori.
Scendo in fretta e senza luce, mi faccio inghiottire da una macchina piccola e colma di persone e
bagagli grassi, leggo velocemente e poco concentrata il programma della New Travel Art dei
giorni che sarebbero venuti, spero dentro di me di passare quelle poche ore di volo a riposare.
Ci riesco malamente, sono emozionata. Voglio parlare dell’Andalusia alla coppia di spagnoli seduti
vicino a me in aereo, esercitare le quattro parole in croce che parlo della loro stessa lingua, ma
finisco per parlare quasi sillabando il mio italiano colorato da un accento del Sud, mi rispondono
in un modo altrettanto meridionale. Ci lasciamo a Granada con un tenero “adiós”.
All’aeroporto Federico García Lorca Granada-Jaén ci aspetta un uomo simpatico e abbronzato
che ci sistema rapido in un bus privato alla volta di Málaga. In quell’ora comincio a conoscere i
miei compagni, il paesaggio roccioso che ci circonda, la malinconica Rocío Jurado nelle cuffiette
mi apre lo spiraglio dei montes protettori della città.


Arriviamo in un albergo semplice e vicino al centro, sistemiamo velocemente le nostre cose e
spariamo tra le taperie: quello che assaggio è un insieme di ricordi delle mie prime volte in
Spagna, ma stavolta non scelgo un piatto solo, condivido con gli altri grosse portate da cui
insieme pizzichiamo con le nostre forchette affamate. Calamares fritos, jamon iberico
rigorosamente tagliato a mano, pulpo a la galega, patatas bravas, tortilla, croquetas
al prosciutto.
Usciamo da Pepe y Pepa soddisfatti e frettolosi, ci aspetta la prima tappa del tour nel pomeriggio.
Partiamo insieme, infatti, alla volta di Benalmádena, cittadina affacciata direttamente sulla Costa
del Sol, il cui luogo di interesse principale è il Castillo di Colomares: castello costruito tra il 1987 e
il 1994 dedicato alla vita e alle avventure di Cristoforo Colombo a opera di Esteban Martín y
Martín. Con i suoi 1.500 metri di superficie, è il più grande monumento al mondo dedicato
all’esploratore genovese. Devo dire, a onore della verità, che è stato il posto raggiunto con
maggiore difficoltà per scattare foto e avere immagine del profilo da qui ai prossimi due anni.
Scendiamo, non senza brividi da ultimi istanti di vita, verso Torremolinos, città dedicata
completamente al turismo marittimo e ancora stracolma di gente sul finire di Settembre.
Ci dedichiamo quella stessa sera per cena ai chiringuitos di Málaga, tipici ristoranti sulla spiaggia
dove il pesce viene servito sempre fresco e cotto al momento su grosse braci. Per un attimo mi
sembra di essere a un falò di confronto tra me e i calamari fritti, da cui esco unica e grande
vincitrice.


Giorno 2
Valeria è la mia compagna di stanza. Si sveglia di nuovo all’alba tra i miei deliri in dormiveglia e
infilandosi le Nike mi lascia ancora intontita verso il Caminito del Rey. La New Travel Art ha deciso
di dividerci per qualche ora e mi gongolo al pensiero di dover vivere una giornata più tranquilla
della sua, illusa che il mio tour enogastronomico al Mercato Centrale sia una passeggiata in
confronto all’escursione in mezzo alla natura. Mi sbaglio profondamente. Alle 10 in punto sguscio
nella città insieme ai miei compagni, Aniello e Costanza, raggiungiamo la nostra guida
esageratamente puntuale. Damian si presenta con un sorriso dolce e i capelli bagnati dai 40 gradi
di Málaga. Zaino in spalla e occhi sgranati, ci porta negli edifici più antichi della città andalusa, ci
lascia fotografare paziente mentre spiega la struttura architettonica di Casa Vicente, il nuovo
progetto metropolitano, mischia i ricordi della sua infanzia alla nostra giornata da ragazzini in gita
e finiamo nella Taberna Antigua Casa de Guardia, antica cantina dove ancora si mangia e si beve
un ottimo passito in piedi. Entriamo in un posto che profuma di vecchie botti piene dove due
uomini grassocci ci salutano sistemando nei piatti di porcellana delle cozze appena cotte e pronte
per le tapas. Li lasciamo a quel giorno appena cominciato per la colazione alla Cafeteria Casa
Alandra, la più antica e famosa per i suoi churros y chocolate. Cerco di ignorare il fatto di aver
abusato di zuccheri ancora prima di mezzogiorno mentre a passo rapido raggiungiamo finalmente
il Mercado Atarazanas.


Edificio progettato dall’architetto Joaquín de Rucoba e costruito tra il 1876 e il 1879 proprio nel
sito in cui si trovava un’officina navale di origine nasride, di cui ancora oggi è conservata una
porta di marmo e da cui prende il suo nome. Di pianta trapezioidale, è diviso in tre magazzini:
pesce, carne, frutta. Damian comincia da assaggi di jamon e manchego, ci confeziona con
gentilezza ciò che avanza e che porteremo a casa, ci guida nel giro di cosce di maiale così
pregiate e diverse tra di loro, ci lascia intrufolare con lui verso il cuore di quel mercato chiuso da
vetri colorati. Da una bota ci divertiamo a bere moscatel che scende dolce nelle gole arse dal
calore e quando passiamo alla bancarelle di olive spagnole e frutta secca della regione, mi
sembra di impazzire. Gelosamente tengo in borsa una piccola scatola di mandorle fritte in olio
d’oliva e salate. Quest’uomo ha capito benissimo come farmi felice. L’ultimo dei magazzini è
l’esplosione di colori più vivi che io abbia mai visto nella mia vita: frutta di ogni tipo e familiare, ma
anche tropicale e mai provata, dragon fruit, papaya, mango, tutto fa parte della produzione
autoctona perchè l’Andalusia è l’unica regione europea dove tutto ciò nasce naturalmente.
Damian a un certo punto ci trascina stanchi via dal mercato alla volta della Plaza de la
Constitución
ed è in quel momento che io mi innamoro davvero. Se c’è un modo che trovo per
tenermi stretto nel mio piccolo cuore ogni posto che ho la fortuna di visitare è mettendomi con il
naso all’insù e guardando i palazzi della città. Mi piace immaginare la vita di chi li riempie, le
donne che vi si specchiano, gli uomini che ci passano di fretta, i bambini che ne sporcano i muri
con i primi pastelli, i cani che vi si legano a vita, le vecchie che ne riempiono le stanze di fiori, i cibi
che li rendono caldi e sicuri, i caffè che li risvegliano, il vino che li ammorbidisce, i letti che vi si
disordinano, le maniglie che vi si consumano. Ho tenuto per così tanto la testa verso l’alto,
cercando di immaginare tutto questo che a Plaza de la Merced ho solo sentito dentro una grossa
stretta. Ho visto davanti a me un bambino disegnare bene, cercando di disimparare con la sua
maglietta a righe bianche e blu e la mente di un genio. Ho visto figurarsi davanti a me un piccolo
Picasso nascere tra quelle mura e farne un posto che si guarda e commuove. Il suo posto, la sua
casa, la piazza dove il suo bronzo ti guarda e ti fa sentire così piccolo davanti alla grandezza
dell’uomo minuto.


Ci siamo ricongiunti ai sopravvissuti del Caminito dopo poche ore, inghiottiti dai tesori nascosti di
Málaga: dai Jardines de Pedro Luis Alonso dove un uomo di ferro protegge la piccola piazza con
un gelsomino all’Alcazaba, fortezza di epoca musulmana alle falde del monte Gibralfaro. L’opera
occupa l'estremo est delle mura della città, come tutte le alcazaba musulmane, in modo che i
fronti del mezzogiorno, ponente e nord, rimanessero all'interno delle mura.
Abbiamo concluso il nostro secondo giorno in Andalusia entrando nella Cattedrale di Málaga,
dove finalmente ho raggiunto il picco della mia sindrome mai troppo velata di Stendhal davanti a
opere di questa portata monumentale. Poco è sopravvissuto all’instabilità politica trascinata nei
secoli dalla regione, fatta eccezione per alcune cappelle e altari e una Pietà dei Di Pisani in
completo marmo di Carrara. Il mio senso del dovere e l’amore per i ricordi da portare a Napoli mi
hanno trascinata sulla strada principale e più commerciale della città, interamente pavimentata e
colonizzata da negozi per passanti stranieri e case dallo stile bohémien. Col buio tardo della
Spagna si è poi illuminato sulla strada verso l’hotel il Centre Pompidou di Málaga, l’unico
esistente al di fuori della Francia, dedicato alla città dell’autore cubista per eccellenza.


Giorno 3
Il terzo e ultimo giorno in Andalusia è cominciato nel più movimentato dei modi: colazione molto
presto, bus privato e volta verso Granada, senza passare dal via. Abbiamo lasciato i bagagli al
volo nel bellissimo hotel al centro della città e con dei taxi abbiamo raggiunto probabilmente uno
dei posti più belli che io abbia mai visitato nella mia vita finora: la Alhambra, “la Rossa”, dal colore
delle mura che la circondano e la separano dalla città nuova su cui si affaccia. Il complesso è una
medina, una città murata che appunto copre gran parte del colle della Sabika. Con i suoi
100.000 m² di superficie, fa parte a pieno titolo del patrimonio mondiale dell’UNESCO ed è stata
tra i candidati finalisti per essere indicata come una delle sette meraviglie del mondo moderno.
Dai grandi e curati giardini, al Palazzo di Carlo V, al convento di san Francesco al Patio de los
Leones, tutto trasuda storia e memoria, tutto è rispettato, tutto è equilibrato. Io stessa,
passeggiando tra quelle mura ferme e vive, mi sono resa conto che quasi due occhi non sono
abbastanza per accogliere tanta bellezza insieme.


A fatica, siamo usciti dalla fortezza e a piedi - in discesa, sia chiaro - abbiamo raggiunto Plaza
Nueva, dove abbiamo mangiato velocemente e organizzato un pomeriggio di fuoco tra le strade
principali della città e i grandi negozi di souvenir di Granada. A un certo punto, stremata, ho
raggiunto il mio nuovo letto e ho ricaricato le batterie per la serata a tema.
Cuevas Los Tarantos è un locale nel barrio del Sacromonte dove quando entri finisci su una sedia
di vimini insieme ad altri spettatori e con in mano un bicchiere di tinto de verano. A un certo punto
cala il silenzio, entrano donne e uomini vestiti di colori e passione, cominciano a solleticare il
pavimento consumato dai loro tacchi ogni notte. Entra la chitarra, poi il suo accompagnatore con
voce malinconica. Si accomodano, trovano la loro posizione, sembra quasi di sentirla l’anima
salire loro dal cuore e uscire dagli occhi infuocati dal flamenco. A te, lì seduta imbambolata
davanti a un così grande talento, non resta che il silenzio e l’immobilità di qualcuno che vede per
la prima volta dal vivo quella danza e se ne commuove.
Usciamo sbalorditi dal locale, lanciandoci su una strada fatta di ciottoli e carmen, le tipiche case
storiche del quartiere di Albaycin, fino a raggiungere el Mirador de san Nicolás, dove un gruppo di
gitani suona, canta e incita la folla. Ho solo voglia di togliermi i sandali di cuoio, farmi male sui
ciottoli ballando quella musica, lasciando salire e venir fuori quell’anima che assopisco nella mia
quotidianità. Eppure, nonostante tanto trasporto, l’Andalusia mi ammutolisce ancora davanti alle
luci dell’Alhambra notturna. Non ho più le parole per descrivere questo posto nè ne trovo per
salutarlo e andare via. Arriva anche stavolta, come sempre, la mia malinconia alla fine di un
cammino a chiudere il cerchio cominciato con quell’aereo all’alba qualche giorno prima, ma è ora
di chiudere, di far baciare le estremità di quella linea curva che è l’esperienza di un viaggio.
E sapete di chi è il grande merito di tutto questo?
Esattamente: della New Travel Art.

Argomenti: andalusia, caminito del rey, cibo, granada, malaga, viaggi da solo, Viaggio esperienza,